La terapia nel mondo virtuale
Uno sguardo sull'interazione sociale e le nuove tecnologie
Autori: Martyna Galazka-Carney e Max Thorsson
Traduzione: Francesco Gemignani
Articolo originale: Therapy in the virtual world: a view on social interaction and new technologies
Per quelli di noi che non hanno familiarità con i giochi virtuali, Second Life è un mondo virtuale online che è lanciato nel 2003 e che attualmente conta quasi un milione di utenti attivi in tutto il mondo. A differenza dei videogiochi in generale, in Second Life non ci sono conflitti già previsti o obiettivi prefissati, se non quello di vivere semplicemente la vita di tutti i giorni

Ogni utente attivo crea un avatar che lavora, fa la spesa, va a passeggio ecc., e fa tutte le cose che normalmente si fanno nella realtà, ma con notevoli vantaggi. Innanzitutto, il tuo avatar può apparire e agire in qualsiasi modo tu voglia. In secondo luogo, il tuo lavoro può essere quello che vuoi: desideri prenderti cura degli animali selvatici per vivere? Bene, ora puoi, senza passare dai faticosi step dell'istruzione, formazione e lavoro. Infine, puoi interagire con gli altri come preferisci, stringendo relazioni casuali come due chiacchiere veloci al supermercato, o serie come lo sposarsi (tra avatar naturalmente). In un mondo in cui la distanza fisica non è un problema, puoi cercare e trovare persone che la pensano allo stesso modo, avvicinarti a loro e avviare conversazioni con loro su un argomento di interesse per entrambi. Quando hai finito, o quando la conversazione non è più di tuo interesse, ti basta solo un clic per terminarla senza conseguenze dannose. Per le persone che trovano le interazioni sociali della vita reale quasi impossibili, come quelle con autismo, grave fobia sociale o altri disturbi ESSENCE, questi tipi di interazioni sintetiche possono risultare ideali.
Per questi motivi, c'è stato un crescente interesse nell'uso delle piattaforme VR per aiutare le persone con autismo e disabilità intellettiva a svolgere attività quotidiane come attraversare in sicurezza la strada (Science Daily, 2008).
Oltre a fornire intrattenimento e vita sociale a coloro che trovano estremamente stressanti le interazioni faccia a faccia, c'è stato un crescente interesse nell'uso della realtà virtuale (VR) per scopi terapeutici ed educativi. Ci sono molte ragioni. Innanzitutto, la realtà virtuale può simulare un'ampia varietà di scenari o ambienti virtuali (VE) come un caffè affollato, un autobus o una stanza tranquilla priva di stimoli che distraggono o confondono. In secondo luogo, all'interno dei VE, il tempo può essere facilmente manipolato, consentendo al partecipante di fare una pausa e ricevere un feedback che è immediatamente contingente alle proprie azioni. Almeno in teoria, comportamenti e risposte possono essere effettuati ed estesi in un contesto che è come il mondo reale, offrendo il potenziale di poter generalizzare questi comportamenti al mondo reale, al di fuori del gioco. Infine, ogni sessione VR può essere impostata in modo che sia divertente e motivante, consentendo ai partecipanti di imparare mentre giocano (Vera et al., 2007).
Per questi motivi, c'è stato un crescente interesse nell'uso delle piattaforme VR per aiutare le persone con autismo e disabilità intellettiva a svolgere attività quotidiane come attraversare la strada in sicurezza (Science Daily, 2008). Alcuni hanno anche utilizzato la realtà virtuale per facilitare la comprensione di alcune convenzioni sociali, come non camminare tra due persone sul marciapiede o mantenere una distanza adeguata dagli altri (Parsons et al., 2006). Altri ancora hanno tentato di utilizzare la realtà virtuale per creare stimoli fotorealistici e controllabili focalizzati sulle difficoltà nella comprensione sociale ed emotiva, nel simbolismo e nell'immaginazione (Herrera et al., 2008). Ad esempio, uno studio ha utilizzato espressioni facciali altamente sofisticate e realistiche per esplorare il comportamento dello sguardo nei bambini con ASD (Trepagnier, Sebrechts e Peterson, 2002), e aiutare i bambini con ASD a ottenere dai volti informazioni importanti (Trepagnier et al., 2005; Moore et al., 2005). I risultati, tuttavia, sono ancora alquanto discutibili e si basano in gran parte su un piccolo numero di casi (per una revisione più completa, vedere Parsons et al., 2009). La scoperta più rilevante sembra essere che per alcuni bambini piccoli con autismo, l'uso della tecnologia VR (come l'uso del copricapo che è immersivo e piuttosto pesante) è problematico, con alcuni casi segnalati di “cyber-sickness” che rendono l'intera impresa discutibile .
Leggendo questi progressi, soprattutto in un momento in cui quasi tutte le nostre interazioni sociali sono effettuate attraverso lo schermo, non si può fare a meno di chiedersi “qual è il prossimo step?”. Mi vengono in mente immagini di un futuro distopico con persone che indossano copricapi VR in condomini abbandonati. Ma la domanda persistente per noi, come ricercatori, non è tanto se l'interazione sociale sarà un giorno sostituita da avatar manipolati, quanto piuttosto se ciò sia possibile.
La nostra conoscenza ancora limitata ci porta a credere che ciò che rende difficili le interazioni autentiche non è solo ciò che si vede, ma anche ciò che può essere percepito, sentito e sperimentato.
A un'occhiata superficiale, le interazioni sociali possono essere semplici, come una rapida occhiata nel caso di una comunicazione non verbale, o complesse come un dibattito pubblico in cui idee e opinioni sono condivise in modi più o meno elaborati. Ma un'interazione è molto più che uno scambio di informazioni. L'interazione sociale tra due persone è una delicata danza di intenti condivisi e una serie di azioni asimmetriche ma complementari (Hasson e Frith, 2016). La nostra sensibilità al movimento biologico, più di qualsiasi altro tipo di movimento, è cablata nel nostro cervello (Johansson, 1973) e la nostra tendenza a regolare i nostri movimenti, la postura e lo sguardo con i nostri partner interagenti avviene quasi automaticamente. Fisiologicamente, la nostra frequenza cardiaca e i livelli di conduttanza cutanea si sincronizzano con gli altri (Behrens et al., 2020). Recenti scoperte hanno anche iniziato a rivelare le basi neurologiche delle funzioni cognitive sociali, inclusa la sincronia intercerebrale, un'attivazione cerebrale simmetrica sia a livello temporale che spaziale (Hoehl et al., 2021). Premesso questo, emergono due notevoli limitazioni quando si tratta di VR. La prima è la questione della generalizzabilità e la seconda riguarda la validità. Un'abilità appresa in VR può essere generalizzata alla vita reale? E, in relazione alla prima, possiamo creare un'interazione virtuale che mimi veramente un'interazione autentica, senza sapere in primo luogo cosa rende autentica un'interazione?
In effetti, un'interazione autentica è complessa quanto gli esseri umani stessi: è un essere sociale pulsante, ormonalmente regolato, cosciente e talvolta inconscio. Non c'è da meravigliarsi che per alcuni possa sembrare come un provare a destreggiarsi come un giocoliere con dieci palline da ping pong mentre si pedala in monociclo e si è abbagliati dal sole. Come mostra la nostra illustrazione di Second Life e VR, con il crescente progresso della computer grafica e l'imitazione del comportamento umano naturale, la tecnologia potrebbe avvicinarsi molto all'imitazione delle autentiche interazioni sociali. Anche i movimenti del proprio corpo potrebbero tradursi nel mondo virtuale con l'uso di accelerometri e giroscopi. Ma se la componente critica di un'interazione richiede una componente fisica più sofisticata, le interazioni sintetiche saranno mai all'altezza?
La nostra conoscenza ancora limitata ci porta a credere che ciò che rende difficili le interazioni autentiche non è solo ciò che si vede, ma anche ciò che può essere percepito, sentito e sperimentato. Con ciò, mentre Second Life tende ad essere più gestibile per alcuni, fare un passo per usare la realtà virtuale per la neuroriabilitazione può essere un enorme atto di fede. Senza sapere cosa significhi veramente un'interazione sociale dal punto di vista neurologico, fisiologico e comportamentale, potrebbe essere impossibile creare una piattaforma che insegni gli aspetti discreti dell'interazione sociale (per essere poi generalizzati alla vita reale). Forse la realtà virtuale non è pensata per sostituire l'interazione faccia a faccia, ma piuttosto come un'opportunità per studiare l'interazione e, infine, come un potente strumento complementare alla tradizionale terapia faccia a faccia.
Riferimenti
University of Haifa. “Virtual Reality Teaches Autistic Children Street Crossing, Study Suggests.” ScienceDaily. ScienceDaily, 29 January 2008. <www.sciencedaily.com/releases/2008/01/080128113309.htm>
Parsons TD, Rizzo AA, Rogers S, York P (2009). Virtual reality in paediatric rehabilitation: a review. Developmental Neurorehabilitation 12, 224–238.
Trepagnier, C.Y., M.M. Sebrechts, A. Finkelmeyer, M. Coleman, W. Stewart, and M. Werner-Adler. 2005. Virtual environments to address autistic social deficits. Annual Review of CyberTherapy and Telemedicine 3: 101–7.
Hoehl S., Fairhurst, M., Schirmer A. (2021). Interactional synchrony: signals, mechanisms and benefits, Social Cognitive and Affective Neuroscience, 16,(1-2), 5–18. https://doi.org/10.1093/scan/nsaa024